Quando i serpenti animano i tuoi sogni bisogna sempre mettere in conto molte cose.
Si storce subito il muso al solo pensiero perché foriero di maldicenze e spesso associato a presagi nefasti. Ma dipende, dipende dal sogno, dipende da cosa fanno questi nel sogno ed anche dalla storia personale di chi fa il sogno.
Senza dubbio è un animale di forte valenza simbolica. Il regno dei morti abitato dai serpenti è terreno fertile da cui emerge nuova vita, il luogo di guarigione, iniziazione e rivelazione dominato dall’antica Dea.
Giace come un serpente attorcigliato, alla base della colonna vertebrale, la kundalini è l’energia cosmica femminile nella tradizione tantrica. Che sia di vita o di morte, il potere di cui è dotato il serpente lo rende spirito ancestrale, guida nella terra dei morti e mediatore dei processi di trasformazione.
Ed io li avevo sognati.
Le streghe lo sanno bene quanto potenti siano le lunazioni scorpioniche primaverili. Se si ha ben presente l’habitat dello scorpione, allora l’umido appiccicoso che sale dalla pancia della terra, vomita i suoi rigurgiti. E nel sogno, senza clamorose reazioni, non mi facevo specie ad accantonare un covo di serpi nel buco che si era creato sull’asfalto di una strada. Ecco avevo sognato i serpenti e quest’anno nessuno mi avrebbe impedito di raggiungere il piccolo centro di Cocullo dove si celebra il 1° Maggio la festa di San Domenico ed il rito dei serpari.
Così non ho indugiato a raggiungere il piccolo borgo dove le serpi sono innocue.
Sarei arrivata con l’autostrada passando per Avezzano e come una strega a cavallo di una serpe alata, mentre per il ritorno avevo programmato di attraversare Rocca di Mezzo ed infine raggiungere San Panfilo d’Ocre. Paesino dell’Aquilano sorto su una tavola rocciosa che, come un’arca, ha ondeggiato insieme alle scosse durante il terremoto del 2009 salvando tutte le anime. Lì mi sarei fermata per un tè con una strega e poi il rientro attraverso il Gran Sasso.
Pronta per il viaggio, sono arrivata a Cocullo che il cielo era grigio e freddo, ma appena in tempo per assistere alla processione del Santo coperto dai serpenti ed anticipato, a suon di banda, dal passo lento di due giovani donne in abiti tradizionali che portavano sulla testa un cesto contenente i 5 pani sacri: i Ciambellani, memoria dei miracoli del santo, sono pagnotte con un buco al centro che ricalcano le spire del serpente in analogia con il ciclo della vita. Questa celebrazione attinge ai riti pagani dei Marsi, il popolo italico dell’area appenninica devoto al culto della Dea Angizia, guaritrice abile, incantatrice di serpenti, esperta in arti occulte come lo erano state Circe e Medea.
Il popolo, a cui Angizia stessa avrebbe trasmesso le capacità di cui andava fiera e che Plinio il Vecchio definì secoli a seguire "abili maneggiatori di serpenti”, venerava la Dea portandola in processione coperta dai serpenti. Una processione propiziatoria che si consumava in primavera inoltrata, proprio in combinazione con i riti di Beltane, la festa di fertilità celebrata durante la stagione di rinascita e di unione tra la Madre Terra ed il Dio Sole.
Angizia, in connessione con le forze ctonie, aveva la fama di essere in grado di rendere mansueti i serpenti ed innocuo il loro morso. La sostituzione della ritualità pagana con il Santo, protettore dei denti, dei morsi dei rettili e dalla rabbia, non ha affievolito il potere di guarigione della celebrazione ed al contempo di emancipazione della comunità.
Infatti, il rito di San Domenico, che ha vita documentale solo a partire dal XIV secolo, si incrocia anche con delle figure soppresse durante la Controriforma come quella dei Ciaralli, antenati degli attuali serpari, rispettati quasi fossero santoni.
Immuni dal morso del serpente, questi viaggiavano per il paese praticando arti magiche e liberando le terre dalle bestie infestanti in cambio di cibo. Il richiamo alla guarigione persiste nel sincretismo religioso lungo i secoli fino ad oggi. E con lo stesso impegno volto a scacciare il maligno, la piccola comunità di Cocullo si attiva nella cattura di esemplari innocui per l’uomo come il Cervone, il Biacco, la Biscia dal collare.
In fondo, di guarigione e purificazione, è stato anche il mio piccolo viaggio, sparigliato con un forte acquazzone e con me le folle, che si sono ammassate lungo le strette stradine del paesino, defluite in massa come un groviglio occludendo le vie di fuga dal piccolo borgo.
Le nebbie sono scese sulla collinetta del paese che sembrava avvolto in un bozzolo dal silenzio assordante. Chi si occupava della viabilità ha avuto difficoltà a gestire il deflusso in massa ed io, come spinta dalle spire, ho perso l’orientamento grazie anche a consigli devianti e giudizi inutili sui percorsi migliori da transitare.
Eccolo il covo di serpi, quello disposto a elargire consigli sprezzanti sui tuoi desideri; gli inetti boriosi che si fan gradassi quando prendono decisioni per conto altrui; quelli che ti raccontano la strada ma sono incuranti della tua.
Quelli mi han messa nella strada sbagliata per il rientro.
Uscita dal covo, sbucando da un incredibile e rigogliosa boscaglia, un rospo mi ha attraversato la strada ed un Upupa mi ha benvoluta mentre la volpe si stava a sposare. Non sono riuscita ad attraversare la terra di mezzo sbucando su di un panfilo a cavallo di una serpe alata, ma la pioggia aveva pulito ogni mio passo ed io come nel sogno, avevo accantonato un covo di serpi.
Manila
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